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L’anfiteatro romano, nelle notti di fine agosto, torna a vestirsi delle note delle più celebri opere liriche di Verdi e incantare. Nonostante i dubbi e le incertezze sui tempi e i modi della riapertura, il festival non si è arreso, ma ha anzi trovato il modo di rinnovarsi e ripensare se stesso dialogando con Istituzioni culturali del territorio.

Verona lirica

Ecco allora che, all’interno della magica cornice dell’arena, la messa in scena dei drammi di Verdi vede la partecipazione, fra gli altri, del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah e del Museo Egizio di Torino. Allestimenti forse meno sfarzosi, ma non certo meno coinvolgenti, affascinanti e avvincenti.

Il pubblico ha reagito con l’entusiasmo delle grandi occasioni e, nonostante le limitazioni imposte dalla normativa vigente per contrastare il Covid 19, i circa 6000 spettatori hanno fatto sentire quanto intensa e commossa fosse la loro partecipazione.
La musica del grande maestro, le nuove soluzioni sceniche, le luci e la suggestiva location rappresentano il segno di una ripartenza fortemente voluta e desiderata e che è diventata realtà. Per la gioia del mondo dello spettacolo e dell’arte e di un pubblico pronto a lasciarsi sempre e ancora trasportare e ammaliare sotto un cielo che non è mai parso così tanto stellato.

“Va pensiero…”

E’ forse il Nabucco la rappresentazione più coraggiosa dell’intero Festival veronese.

Il dramma di Verdi, su libretto di Solera, viene infatti ad essere ambientato all’interno di un campo di concentramento andando a creare un ponte fra il drammatico esilio babilonese del popolo ebraico e la tragedia della Shoah. Una scelta audace che non toglie niente all’opera, ma anzi, attualizzandola le dona un nuovo significato e rinnovati spunti di riflessione. Una decisione consapevole e ardita, ma che si rivela di straordinario impatto emotivo ed emozionale.

La scenografia, le luci sui toni del grigio e gli effetti digitali contribuiscono ad amplificare il dolore della schiavitù, il lamento degli esuli, l’anelito verso una patria bella e perduta. Su tutto poi vola e commuove la celebre aria del “Va Pensiero” che, dopo le sonorità basse e lievi tratteggiate dall’orchestra, si libra nel canto del coro. Canto che è un inno alla speranza, alla forza, alla resilienza, alla libertà. Il pubblico dell’Arena sente, partecipa, canta, piange e applaude. E’ il trionfo dell’arte e della vita dopo mesi di isolamento, distanziamento e silenzio.

Presago core: l’immortalità di Aida

Impossibile non rappresentare Aida all’Arena. E’ infatti con questa opera di Verdi che il Festival lirico arenario ha avuto inizio nel lontano 13 agosto del 1913. A partire da quel momento il dramma rappresenta un appuntamento fisso, immancabile e atteso.

Mutano le scenografie, gli interpreti, i musicisti, ma rimane inalterato il pathos, l’emozione e il grande impatto scenico e musicale. Gli allestimenti della rappresentazione di questa estate sono il frutto della collaborazione con il Museo Archeologico di Torino che ha fornito rappresentazioni di sculture, papiri e oggetti facenti parte della collezione.

A completare la scenografia l’utilizzo dei led walls che hanno permesso all’opera di presentarsi nel fasto e nella magnificenza di sempre. In poche altre opere la scenografia ricopre una simile importanza e fa da coronamento a un dramma che pone al centro il dilemma fra amore e ragion di stato. La musica alterna toni struggenti, passaggi carichi di commozione, marce trionfali, danze e tocchi esotici per poi culminare nel sacrifico di Aida.

Dopo più di un secolo ogni rappresentazione di Aida all’Arena accende e tocca i sentimenti del pubblico, sempre pronto a lasciarsi trascinare da una musica immortale e da un canto che tocca tutti i registri del cuore.